India: diario di viaggio

 

La nostra India: nella terra dai mille colori

di Stefano e Annalisa, 2009

“Non ci possiamo credere! Non è possibile! Ma come avete potuto?”.

Sono questi alcuni dei colorati commenti di amici e conoscenti alla notizia che quest’anno non saremmo stati in Africa. Già, proprio così: noi, amanti all’inverosimile dell’Africa, in questo 2009 non metteremo piede, come annualmente succede da ormai molto tempo, sul suolo del continente nero. Infatti abbiamo deciso di andare in…India! L’immenso paese asiatico ci accoglierà per 18 giorni, durante i quali effettueremo un lungo tour partendo da Delhi per attraversare il Rajasthan, arrivare ad Agra e scendere poi fino a Varanasi, l’antica Benares, città sacra per eccellenza per la popolazione Indù.

Per questo viaggio ci siamo affidati alla Wadi Destination di Marco e Mara, agenzia di Cernobbio, ai quali ci eravamo già rivolti nel 2006 per il nostro secondo viaggio in Madagascar. Poiché allora fu un viaggio bellissimo, indimenticabile e ben organizzato, abbiamo così deciso di dare loro fiducia anche in questo caso. Anche questa volta tutto è andato benissimo e abbiamo sempre avuto un’ottima assistenza per tutta la durata del tour.

Partiamo il 3 settembre da Milano per Parigi e da qui per Delhi. Il volo intercontinentale dura meno di 9 ore. L’arrivo a Delhi è in perfetto orario, anzi pure un po’ in anticipo. Piove forte. L’aereo, però, non atterra subito ma effettua alcuni giri sopra la capitale per una ventina di minuti e poi finalmente scende sulla pista. Sarà stata la forte pioggia, qualche altro aereo che doveva atterrare prima di noi o chissà cos’altro, tant’è che il nostro anticipo è svanito. Poi una volta a terra altra sorpresa: non ci fanno sbarcare, dobbiamo aspettare ancora un po’ prima che il comandante riceva comunicazione di dove parcheggiare l’aereo.

Finalmente dopo una buona mezz’ora ci fanno scendere. Il ritiro bagagli in compenso avviene piuttosto velocemente e così pure il controllo passaporti, anche se prima dobbiamo compilare e sottoscrivere un modulo in cui si dichiara di essere in buona salute, di non provenire e di non aver visitato recentemente Paesi colpiti dalla cosiddetta “nuova influenza”. Il tutto avviene davanti ad una telecamera a infrarossi che rileva la temperatura corporea di tutti i passeggeri. Il timore che venga introdotto questo nuovo virus è davvero alto. Terminate le pratiche doganali, ci avviamo verso l’uscita, dove troviamo il rappresentante del tour operator locale ad attenderci con un vistoso cartello con i nostri nomi. Conosciamo subito anche il nostro autista che ci accompagnerà nella prima parte del viaggio, in Rajasthan. Si chiama Amarnad, è un signore sulla cinquantina e si dimostra subito molto gentile, disponibile e serio. Ci accolgono con un caloroso “Welcome to India, here everything is possible!” e ci mettono una ghirlanda di profumatissimi fiori al collo. Partiamo subito verso il nostro hotel, il Ramada Plaza, buono, a circa 25 km dall’aeroporto.

Qui, prima di prendere possesso della nostra sospirata camera, incontriamo un altro rappresentante del tour operator locale, che ci consegna i vari voucher degli alberghi, dei trasferimenti, delle guide locali, i biglietti del treno, numeri di telefono utili. Con lui controlliamo il tutto, facciamo un riepilogo delle tappe del nostro tour e quindi finalmente (è oramai l’una e mezza!) andiamo a riposare. E’ stata una lunghissima giornata. Ora un po’ di riposo è davvero quello che ci vuole. L’indomani mattina alle 9 inizieremo in nostro tour: come da programma visiteremo una parte di Delhi (completeremo la visita al ritorno l’ultimo giorno) e poi via verso Mandawa, la nostra prima tappa, nella regione dello Shekhawati, distante circa 280 km che per percorrere saranno necessarie più di 6 ore! Puntualissimi alle 9 ecco ad attenderci il nostro autista Amarnad e la guida locale, che ci accompagnerà in questa prima parte di visite nella Capitale. Il primo monumento che visitiamo è l’India Gate, la Porta dell’India: simbolicamente è come se entrassimo ora veramente in questo immenso paese. Questo monumento, un grande arco alto circa 42 metri, è stato costruito per rendere omaggio alle migliaia di soldati indiani caduti durante la prima guerra mondiale e nella guerra contro l’Afghanistan nel 1919.

Da qui percorriamo, in auto, il lunghissimo viale Rajpath (la Via Reale) che porta agli edifici gemelli, sedi di uffici ministeriali e posti uno di fronte all’altro, del Secretariat. Tra i due edifici sorge il Palazzo presidenziale (Rashtrapati Bhavan): scattiamo qualche foto dall’esterno del cancello perché non si può’ entrare. Inoltre in quest’area la macchina non si può’ fermare, per cui facciamo una breve passeggiata a piedi e dopo le foto di rito ripartiamo per continuare le nostre visite. La successiva visita e’ alla Tomba di Humayun, imperatore moghul, la cui costruzione è stata voluta dalla sua prima moglie Haji Begum. Si tratta di un grande edificio con alti portali ad arco, sormontato da una grande cupola a forma di bulbo. A poca distanza si trova un’altra bella costruzione: la tomba di Isa Khan, a forma ottagonale. Le nostre visite a Delhi sono, per ora, terminate: completeremo la vista della Capitale, come detto, al ritorno, l’ultimo giorno del tour.

Ora ci aspettano i circa 280 km che ci separano da Mandawa. Fa caldo e il traffico e’ piuttosto sostenuto, ma non potrebbe essere altrimenti in una metropoli come questa.  Molti i cantieri che incontriamo, soprattutto per la costruzione della nuova rete della metropolitana.  Purtroppo notiamo anche diverse persone che come casa hanno l’arcata di un ponte e questo non e’ certo un bel vedere. La strada verso Mandawa oltre che lunga e’ pure in cattivo stato e gli slalom tra le buche sono piuttosto frequenti: è anche per questo che si impiegano circa 6 ore per arrivare. Mandawa  si trova nello Stato dello Shekhawati.  Questa regione è famosa per le numerose haveli, case di ricchi mercanti, alcune delle quali sono in un buono stato di conservazione, altre purtroppo lasciate al proprio destino. Si tratta di grandi case tutte finemente decorate esternamente con scene di vita di quei tempi gloriosi, disegni riguardanti sia la vita indiana sia la vita dei colonizzatori inglesi. Alcune oggi sono abitate da semplici guardiani (che “arrotondano” facendo pagare una piccola somma per entrare a visitare), altre dai discendenti della famiglia che le fece costruire. Nel pomeriggio visitiamo alcune belle haveli e possiamo ammirare, tra gli altri, i perfetti disegni di un treno, di una automobile e addirittura di un aeroplano. E pensare che chi ha fatto questi disegni, non aveva mai visto auto o aerei!  Sono raffigurati anche animali, divinità locali e motivi floreali. La nostra guida locale ci fa poi salire sul tetto di una haveli, dal quale possiamo ammirare un bel panorama della città. Facciamo poi anche un giro al bazar locale, tanto per immergerci un pò nella vita locale. In questa cittadina la nostra sistemazione è presso l’Hotel Castle Mandawa, ricavato in un’ala del vecchio castello della città. È un hotel molto carino, in centro, le camere sono spaziose e ben arredate in stile antico. Mandawa è piccola e tranquilla: la sera, dopo cena, facciamo due passi nei dintorni dell’hotel: in giro non c’e’ praticamente nessuno, tranne alcuni ragazzini che ci invitano a visitare i loro negozi cercando di rifilarci qualche souvenir.  Prima di andare a dormire concordiamo con il nostro autista l’orario di partenza per il mattino successivo e lui, molto gentilmente ci propone, se a noi va bene, di partire un po’ prima del previsto per fare una sosta a Fatehpur (pochi chilometri fuori Mandawa), per visitare alcune belle haveli.  Accettiamo, ovviamente, molto volentieri!

Dopo una buona colazione eccoci pronti a partire. Amarnad è già li che ci aspetta: oggi dovremo fare circa 180 km (4 ore più o meno), con destinazione finale Bikaner. Come concordato ci fermiamo a Fatehpur a visitare alcune haveli. La cittadina è molto piccola ma le haveli che visitiamo sono davvero molto belle. Ce ne sono dappertutto, in ogni via, in ogni angolo. Terminate le visite riprendiamo la nostra strada per Bikaner. La strada, stavolta, è in buone condizioni. Lungo il tragitto incontriamo molte donne che trasportano sulla testa ogni genere di mercanzia (legna, erba, grosse pentole, ecc..) e tutte indossano abiti dai colori sgargianti, rosso, giallo, arancio, viola,ecc.. tipici di questa parte dell’India. Chiediamo al nostro driver se possiamo visitare una piccola scuola durante il percorso, in quanto, come sempre, abbiamo portato un po’ di materiale scolastico da distribuire. Il buon Amarnad ci accontenta (e si vede che anche lui è felice per questo) alla prima occasione. Incontriamo infatti una piccola scuola e ci fermiamo. Lasciamo al maestro una buona scorta di penne, matite e quaderni: lui è molto contento e ci ringrazia molto, dicendoci che provvederà poi a distribuire il tutto. Tutti i bambini (la scuola è piccola ma gli alunni sono tanti!) indossano la divisa scolastica e ci guardano con evidente curiosità: chi saranno mai questi due turisti che si fermano in questa piccola e sperduta scuola lungo la polverosa strada per Bikaner? Facciamo una bella foto ricordo circondati da tutti i bambini e riprendiamo il nostro percorso.

Prima di arrivare a Bikaner, facciamo una deviazione verso Sud di una trentina di chilometri per visitare il Tempio di Deshnok, il Karni Mata Temple, dove vengono adorati migliaia di…topi! Il buon Amarnad ci accompagna nella visita all’interno del Tempio: è un luogo sacro di pellegrinaggio molto importante e si entra rigorosamente scalzi: effettivamente all’interno vediamo scorrazzare tantissimi topolini. Dicono che è benaugurante se un topo ci passerà sopra i piedi e ancora di piu’ se si vedrà un topolino bianco. Il topo bianco non si fa vedere e nemmeno ce ne passano sopra i piedi, ma “soltanto” tra di essi: vuoi vedere che avremo sfiga? Molti topi sono intenti a bere il latte (portato quotidianamente dai fedeli) in un grande recipiente ma ne notiamo anche alcuni riversi a terra senza vita. Ci sono anche tante persone che stanno pregando, altre arrivano portando offerte e doni propiziatori, il tutto mentre i tanti topolini vanno e vengono disordinatamente in ogni direzione. Di turisti nemmeno l’ombra. Certamente si tratta di una visita molto particolare, abbiamo visto adorare diverse cose un po’ dappertutto nei nostri viaggi, ma i topi mai. Ma qui non siamo forse nella terra dove “everything is possible”, dove tutto è possibile, come ci aveva detto Amarnad al nostro arrivo?

Terminata la visita ripartiamo per la oramai prossima Bikaner, dove arriviamo nel primo pomeriggio. Qui alloggiamo all’Hotel Lalgarh Palace, un albergo decisamente grande, molto bello e sfarzoso dall’esterno ma un po’ meno all’interno. Anche il servizio non e’ dei migliori, ci pare un poco freddo e il personale un po’ scontroso. Ma per una notte soltanto va bene anche così. Inoltre, essendo in bassa stagione, ci sono vari operai che si occupano della manutenzione. Nell’albergo incontriamo soltanto altri due turisti. La nostra camera, comunque è molto grande, spaziosissima e vicino alla piscina coperta, che decidiamo di utilizzare per un bagno ristoratore. Infatti fa sempre un gran caldo e un bel tuffo è proprio quello che ci vuole, prima di iniziare le visite previste.
Bikaner è una città caotica e polverosa (siamo alle porte del deserto) e c’è molto traffico dappertutto. In strada si incontra veramente di tutto: macchine, camion, tuc-tuc, risciò, pedoni e mucche: tutti insieme appassionatamente, in un groviglio colossale di uomini, bestie e mezzi meccanici. E come se non bastasse tutti gli autisti suonano il clacson e reclamano la precedenza: è incredibile, ma in mezzo a tanto caos non abbiamo visto nemmeno un incidente! Dopo pranzo incontriamo la nostra guida locale e iniziamo la visita della città. Per prima cosa visitiamo i Cenotafi Reali, tombe dove sono stati sepolti i maharaja e le regine, costruiti in marmo bianco, che si trovano qualche chilometro fuori città. Dopo ci dirigiamo al Forte di Junagarh: si tratta di un’imponente costruzione le cui mura sono lunghe quasi 1000 metri e che può vantare ben 37 bastioni ed un fossato a sua protezione. All’interno del Forte possiamo visitare numerosi palazzi, con tanti chioschi, cortili, torri e sale finemente decorate. La sala che più ci ha colpito è la cosiddetta “stanza blu della pioggia”. Questa sala è stata affrescata con disegni raffiguranti le nuvole dipinte di blu e bordate di bianco, inframmezzate da lampi, creando così un notevole effetto cielo/temporale.

Dopo la visita al Forte facciamo un giro al mercato. Come previsto la confusione è totale. Ci sono molti negozi che vendono svariate qualità di dolci, dall’aspetto invitante. Non resisto e decido di assaggiarne alcuni. Ne prendo un paio allo zafferano e devo dire che sono davvero buoni. Tanti i piccoli negozietti che vendono ogni genere di cose e con le immancabili mucche a “passeggiare” tranquille tra risciò, bancarelle e persone. Le visite a Bikaner sono completate e l’indomani si partirà per Jaisalmer, in pieno deserto del Thar e a poche decine di chilometri dalla frontiera con il Pakistan.

Per raggiungere Jaisalmer dobbiamo percorrere più o meno 330 chilometri (circa 7 ore): la strada però è decisamente in buono stato, praticamente tutta diritta e man mano che si avanza il paesaggio si fa sempre più desertico. La vegetazione è scarsa e la sabbia è sempre più padrona di queste zone. Incontriamo ancora molte donne, sempre con i loro tipici abiti colorati, che trasportano, tenendole sul capo, ogni genere di cose. Altre le vediamo a lavorare nei rari campi che spuntano tra la sabbia. Spesso incontriamo anche pastori (purtroppo notiamo che in molti casi si tratta di bambini) con i loro greggi e anche gruppi di mucche che passeggiano tranquillamente sulla carreggiata. Il traffico è davvero scarso, quasi inesistente, ed è certamente più facile “sorpassare” una mucca piuttosto che un altro veicolo. Il nostro Amarnad si dimostra comunque sempre attento alla guida e, anche se la strada diritta inviterebbe ad aumentare l’andatura, lui guida sempre con molta prudenza e rispettando i limiti di velocità.

Durante il percorso chiediamo al buon Amarnad se ci possiamo fermare in un piccolo villaggio per distribuire un po’ di regali (magliette, cappellini, ecc…) ai bambini. Detto fatto. Ci fermiamo in un villaggio isolato e l’impressione è che non ci siano molte persone. Errore! Appena arriviamo appaiono molti bimbi, sbucano da ogni angolo quasi per magia, correndoci incontro festosi. Lasciamo loro un bel po’ di magliette e cappellini e facciamo qualche bella foto insieme a loro. Sono felicissimi e indossano subito i “preziosi” regali. Con Amarnad che ci fa da traduttore scambiamo quattro chiacchiere con alcuni adulti che sono venuti a salutarci. Tutti sono contenti, ma noi siamo più contenti di tutti. E’ stata una visita breve ma intensa, davvero dei bei momenti che rimarranno per sempre nella nostra mente. Più ci si avvicina a Jaisalmer, più’ notiamo molte installazioni militari. Il confine con il Pakistan non è molto lontano e poiché i rapporti con questo “scomodo” vicino di casa non sono proprio idilliaci, come dice il proverbio “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”.

Giunti a Jaisalmer ci rechiamo subito al nostro hotel, il bellissimo Gorbandh Palace. L’albergo è un poco fuori città, ma è davvero molto bello ed il servizio è veramente buono. Anche qui incontriamo soltanto altri 2 turisti. Abbiamo tempo per riposarci e per pranzare con calma. Le visite sono programmate per le 16 in quanto fa caldissimo (siamo a 40 gradi ma è normale visto che ci troviamo nel deserto del Thar).

Jaisalmer è una città piuttosto piccola ed è famosa per il suo spettacolare Forte che si erge su di una collina con la città tutt’intorno. Jaisalmer fu una città molto fiorente e ricca, perché si trovava proprio sulle piste che percorrevano le carovane commerciali tra l’India e l’Asia centrale. Ma l’apertura del porto di Mumbay e lo sviluppo dei trasporti marittimi, causarono il tramonto commerciale di questa città. Oggi la nuova fonte di prosperità è invece rappresentata dal turismo.

Tuttavia però la situazione non è così rosea. Il forte impatto turistico con la conseguente apertura di nuovi hotel, locali, negozi (soprattutto all’interno del Forte, alcuni addirittura ricavati all’interno dei bastioni!), il pessimo drenaggio della terra, l’uso eccessivo di acqua, gli scarichi di hotel e ristoranti, stanno causando il lento sprofondamento del Forte stesso nella collina, con il rischio sempre più elevato di crolli devastanti. Gli abitanti di Jaisalmer, forse non rendendosene conto, con la loro voglia sfrenata di businnes, stanno facendo morire la loro fonte di reddito più’ importante. Le strutture del Forte si fanno di anno in anno sempre più deboli tanto che due bastioni sono già crollati.

Puntualissimi come sempre finora, alle 16 partiamo per cominciare le nostre visite con la guida locale, un giovane ragazzo che parla molto bene l’italiano. Visitiamo per prima cosa i Cenotafi Reali di Bada Bagh, appena fuori città. I Cenotafi, costruiti in arenaria gialla, (come un po’ tutto qui) non sono tutti in buone condizioni, anzi, diversi sono purtroppo in cattivo stato, quasi certamente per mancanza di fondi per il restauro. Qui siamo partecipi di un divertente ed inaspettato episodio. Incontriamo un gruppo di turisti indiani che ci chiedono di fare una foto: pensiamo di dover fare una foto a loro, ma invece vogliono una foto con noi! Sono entusiasti di aver incontrato due turisti europei e vogliono una foto ricordo da mostrare al loro ritorno a casa ad amici e parenti! Siamo increduli ma li accontentiamo, ovviamente, con gioia e ci facciamo fare dalla nostra guida una bella foto tutti insieme. Sarà un bel ricordo anche per noi, quando, una volta a casa, guarderemo con nostalgia questa fotografia. Terminata la visita e salutato calorosamente i turisti indiani, ci rechiamo ad un punto panoramico dal quale si gode di un bellissimo panorama della città e dove aspettiamo il classico tramonto.

La vista da quassù è davvero superba: la città di Jaisalmer si estende sotto di noi, con il suo bellissimo Forte che si erge al centro, sopra la collina di Trikuta. E’ una bellissima visione, che la luce tenue della sera rende ancora più magica donando alla città intera ed al suo Forte un colore dorato, grazie anche al materiale con cui qui quasi tutto è costruito, ossia l’arenaria gialla. Il tramonto però non si fa vedere per bene, causa nuvole all’orizzonte. Pazienza, è stato comunque un bello spettacolo. Ritorniamo soddisfatti all’hotel e concordiamo con la nostra guida l’orario per l’indomani mattina, dedicata alla visita del Forte, alle haveli e ovviamente al locale bazar.

Il Forte di Jaisalmer è davvero molto bello, ricorda un po’ un castello fatto con la sabbia. Tutto costruito in arenaria gialla, nelle sue mura presenta ben 99 imponenti bastioni. Per entrare nel Forte si passa attraverso 3 porte non visibili contemporaneamente, questo per disorientare eventuali nemici, non dando loro punti di riferimento impedendogli di capire a che punto fossero nel percorso verso l’interno del Forte stesso. La guida ci dice che nel Forte oggi abitano circa 3.000 persone. All’interno si trovano un Palazzo Reale, diversi templi e tantissime haveli. Il Palazzo, detto Maharaja Palace, che si affaccia su una ampia piazza, presenta al suo interno diverse stanze e sale di varie dimensioni. La nostra guida ci dice che la maggior parte di queste stanze servivano per poter osservare lo svolgersi delle attività all’esterno ma senza essere visti. Visitiamo poi i Templi Giainisti: si tratta di 7 templi costruiti in arenaria gialla e praticamente attaccati l’uno all’altro. Sono costruzioni tutte molto elaborate e particolari. Ci rechiamo poi al tempio indù di Laxminath che non è così elaborato come i templi giainisti ma che presenta una cupola dai colori sgargianti. Ci sono diversi fedeli e pellegrini, intenti nelle loro preghiere e a portare doni propiziatori. Dopo i templi ci dedichiamo a gironzolare un po’ per le viuzze del Forte. Con dispiacere notiamo l’esistenza di troppi ristoranti, internet point, hotel (uno addirittura ha alcune camere ricavate nei bastioni!), negozi di souvenir, centri massaggi. Inoltre molte sono le moto che vanno in ogni direzione, scansando spesso all’ultimo minuto qualche sonnacchiosa mucca (immancabili, sono ovunque). Sembra quasi di essere in una moderna città: peccato davvero, perché tutto questo non fa altro che togliere quell’alone di magia che emerge dall’esterno, oltre che a causare i gravissimi problemi di cui parlavamo prima. Prima di lasciare il Forte visitiamo anche alcune haveli. Queste non sono colorate come quelle di Mandawa, ma tutte costruite in pietra arenaria e finemente lavorate. La più elaborata di tutte è senza dubbio la Patwa-ki Haveli, con moltissime finestre e balconi, per la cui costruzione furono necessari circa di 50 anni. Molto belle anche la Salim Singh-ki Haveli e la Nathmal-ki Haveli, entrambe ex residenze di primi ministri e tutt’ora in parte abitate. Terminate le visite all’interno del Forte, ci rechiamo al Gadi Sagar, un lago artificiale che serviva un tempo come riserva idrica per la città, ora popolato da migliaia di pesci gatto ritenuti sacri. Nei pressi ci sono alcuni piccoli templi ed è molto bella la porta che si attraversa per raggiungere il lago e che la storia narra sia stata fatta costruire da una celebre prostituta.

Dopo tutte queste visite culturali ci tuffiamo a passeggiare un po’ nel locale bazar. Fa veramente caldissimo, siamo sui 40 gradi. Nel bazar c’è ovviamente molta confusione, con le classiche mucche a farla da padrone. Ci sono negozietti di ogni genere, alimentari e di souvenir, cd e oggetti in pelle di cammello. Di tutto un po’, insomma. Acquistiamo qualche piccolo souvenir, tra i quali una statuetta in legno di Ganesh, il dio dalla testa di elefante, il dio della buona sorte. Ma forse il buon Ganesh non fa sentire il suo benefico influsso sulle apparecchiature fotografiche! Già, perché a Jodhpur avremo una amara sorpresa, ma di questo parleremo in seguito. Durante la passeggiata incrociamo una lunga fila di giovani ragazze, che procedono cantando e tenendo sulla testa dei recipienti. Sono vestite con abiti bellissimi e coloratissimi: la nostra guida ci dice che sono delle studentesse che stanno festeggiando. Davvero un bell’incontro. Le visite a Jaisalmer sono terminate.

La prossima città che visiteremo sarà Jodhpur, ma prima faremo una tappa intermedia per poter visitare un poco i villaggi tipici della zona. Dopo pranzo, nel primo pomeriggio, partiamo con il fido Amarnad alla volta del Manvar Resort. Ci aspettano circa 180 chilometri e piu’ o meno 3 ore di auto. L’hotel è molto bello e noi siamo gli unici due ospiti. Questo hotel è situato in una zona tranquillissima, tra le piccole dune del deserto. Ci riservano un trattamento da maharaja. Cena a lume di candela nel giardino a bordo piscina, con tutti i camerieri per noi e con tanto di suonatore in abito tradizionale. Bellissimo anche il percorso, creato con tanti lumini, che dobbiamo fare per raggiungere il nostro tavolo. Una serata davvero bellissima ed emozionante, di certo inattesa.

L’indomani mattina la sveglia suona impietosa alle 5.30: dobbiamo andare ad ammirare l’alba con il dromedario sulle piccole dune nelle vicinanze dell’hotel e quindi visitare un villaggio locale. Ad accompagnarci oltre ai due cammellieri anche il responsabile dell’hotel. Qui non c’è un vero e proprio deserto con alte dune sabbiose. Come detto le dune sono piccole e c’è anche una certa vegetazione composta per la maggior parte da arbusti e bassi alberi. Fa un bel fresco, si sta proprio bene. Avanziamo lentamente fino a giungere su una duna un po’ più alta delle altre, dalla quale possiamo ammirare il sorgere del sole, l’inizio di un nuovo giorno. Quella che ci si presenta è un’alba dai colori stupendi, di un vivo rosso-arancione, resa ancora più bella dal silenzio del deserto.

Dopo il sorgere del sole ci rechiamo a visitare un’abitazione in un villaggio locale. Non è un vero e proprio villaggio, bensì un gruppo di capanne, circondate da un recinto, dove vivono due famiglie. Nelle vicinanze notiamo altre costruzioni simili, piccoli nuclei familiari. Le capanne sono molto ordinate e pulite, finemente colorate di bianco e granata. Ci sono solo due donne, gli uomini sono già al lavoro. Una di queste pare un po’ scocciata dalla visita, non accenna neanche un sorriso di circostanza. L’altra, invece, ci fa vedere volentieri l’interno delle capanne, gli utensili utilizzati e a cosa servono. Facciamo tranquillamente alcune foto, quindi le due donne si recano a mungere le mucche e noi possiamo assistere per qualche minuto. Salutiamo e ringraziamo le due signore e ritorniamo lentamente all’hotel, dove ci hanno preparato una abbondante colazione. Quindi, partenza immediata per Jodhpur, la città blu, distante solo un centinaio di chilometri.

A Jodhpur alloggiamo all’hotel The Ummied, bellissimo hotel un po’ fuori città. Anche qui pochissimi gli ospiti trovati, solo altre due coppie. Jodhpur è una città piuttosto grande ed è famosa per il suo bellissimo Forte, il Meherangarh, che si erge maestoso su di una collina di un centinaio di metri a dominare l’altrettanto famosa parte della città denominata la “Città Blu”, per via delle case tutte verniciate di questo colore.

Fa sempre molto caldo e nel pomeriggio decidiamo con la guida locale di fare una visita nella città vecchia e al bazar e di visitare il Forte e la Città Blu l’indomani. La città è sporca e caotica. Ingorghi di auto, moto, tuc-tuc e mucche sono ovunque. Tante le fogne a cielo aperto. Al bazar c’è veramente di tutto e di più e la confusione è alle stelle. Passeggiamo per un po’ di tempo senza meta tra bancarelle e negozietti, osservando lo svolgersi delle varie attività. Coloratissime le bancarelle dei venditori di frutta e verdura, invitanti soprattutto le enormi papaie. Nella piazza dei mercati svetta un’alta torre con orologio.

Ed è proprio qui che succede l’imprevisto: la nostra macchina fotografica, improvvisamente, non ne vuole più sapere di funzionare. Ora che si fa? Ma Ganesh non era il dio della buona sorte? Sarà forse perché il topolino bianco non si è fatto vedere? Mah! Non siamo neanche a metà del nostro viaggio e sarebbe davvero un peccato non poter fotografare le tante cose interessanti che certamente avremmo visto. Dopo aver provato in ogni modo a far funzionare l’attrezzo, ci arrendiamo e decidiamo di cercare un negozio di fotografia per, eventualmente, acquistare una nuova macchina. Cavolo, non ci voleva proprio. E così, trovato il negozio concludiamo l’acquisto. Speriamo bene. La nostra guida locale è stata davvero molto paziente e disponibile ad accompagnarci alla ricerca del fatidico negozio. Ma per oggi può bastare così: la giornata è stata lunga (la sveglia prima dell’alba comincia a farsi sentire e se poi aggiungiamo l’arrabbiatura finale…) e un buon riposo è quello che ci vuole.

Riposati e calmati dopo la sfortuna del pomeriggio precedente, cominciamo le nostre visite della città. Per prima cosa visitiamo il Jaswant Thada, un monumento commemorativo costruito in cima ad una collina. E’ in pietra arenaria, finemente lavorato esternamente mentre l’interno e’ più sobrio. Da qui si ha una bella vista sulla città e soprattutto del Forte che si erge sulla collina di fronte. A poca distanza ci sono anche alcuni cenotafi. Dopo questa visita saliamo al Forte. E’ veramente imponente e maestoso e, cosa più importante, non è stato trasformato in una organizzazione commerciale come quello di Jaisalmer: al suo interno troveremo infatti solo un piccolo chiosco che vende bibite e alcuni piccoli negozietti. A noi è piaciuto senz’altro di più. All’interno si trovano diversi palazzi e cortili. Visitiamo varie sale che appartenevano al Maharaja e venivano utilizzate nelle più svariate maniere, dal relax alle udienze. Il lusso è evidente. In una sala sono esposte le antiche portantine (alcune pesantissime a giudicare dalla struttura), in un’altra sono esposte armi di vario genere (curiosissimo un pugnale che veniva applicato alla proboscide degli elefanti in battaglia), in un’altra ancora, la più curiosa secondo noi, sono esposte le culle dei neonati. In realtà ricordano più delle piccole altalene e sono tutte colorate e molto lavorate.

Dal Forte il panorama è davvero bellissimo. Molto suggestiva la vista della Città Blu, proprio sotto di noi. Possiamo vedere anche le antiche mura, che cingono ancora in parte la città. In un ampio cortile alcuni cannoni fanno bella mostra di sé. Scesi dal Forte decidiamo di fare un giro per le vie delle Città Blu, che raggiungiamo con un tuc-tuc. E’ bello passeggiare per queste viuzze, tra le case tutte colorate di blu, alla ricerca di qualche angolo suggestivo da fotografare o di qualche scena di vita da ammirare. La nostra guida ci dice che solo le case di bramini vengono dipinte con questo colore. Praticamente qui abitano solo bramini! Le stradine sono molto strette e spesso bisogna cedere il passo a qualche mucca. L’ultima visita la facciamo (esternamente, non possiamo entrare) al Castello del Maharaja, ora in parte hotel e in parte residenza e uffici dell’attuale Maharaja.

Il nostro soggiorno a Jodhpur è terminato ed è stato molto bello ed interessante.

Salutiamo e ringraziamo la nostra guida e via verso la prossima meta, Rohet, a circa 50 chilometri da qui. Alloggiamo all’hotel Fort Rohetgarh, situato in centro del piccolo villaggio di Rohet. Dopo aver sistemato i bagagli in camera facciamo una passeggiata nel paesino: è molto carino e tranquillo e di turisti nemmeno l’ombra. Qui visiteremo alcuni villaggi presenti nei dintorni, in particolare uno della tribù Bishnoi, caratteristici abitanti di questa zona dell’India. Il mattino successivo, di buon’ora, partiamo in jeep con un dipendente dell’hotel alla scoperta dei villaggi della zona. Il giro durerà circa un paio di ore. Durante il percorso possiamo vedere anche gruppi di antilopi, tipiche di queste parti. Giungiamo al primo villaggio, quello della tribù Bishnoi. Non e’ un vero e proprio villaggio ma piuttosto un insieme di capanne appartenenti ad alcuni gruppi familiari, come d’abitudine in questa tribù. La nostra guida ci presenta al capo villaggio, un signore piuttosto anziano. Questi ci dice che è molto contento della visita, di visitare tranquillamente le case e di fare pure tutte le foto che vogliamo. Possiamo vedere la cucina, il magazzino, le camere da letto. In questo “villaggio” abitano una ventina di persone, ma ora, oltre al capo villaggio, ci sono soltanto due donne, due ragazzi e un bambino. Tutti gli altri sono già fuori, chi a scuola chi al lavoro nei campi.

Lasciamo loro un po’ di magliette, penne e saponette e partiamo alla volta del secondo villaggio da visitare. Questo è decisamente più grande e non appartiene alla tribù del precedente. Qui abitano circa un centinaio di famiglie ed in maggioranza si tratta di bramini: diverse infatti sono le case dipinte di blu.

A riceverci una gentile signora indiana che ci offre subito il tè. Poi assistiamo a quella che qui chiamano la “cerimonia dell’oppio”. La nostra guida ci spiega che prima vengono estratti i semi dai fiori dei papaveri, poi vengono schiacciati e ridotti in polvere, quindi si fa filtrare il tutto con l’acqua. La bevanda che ne viene fuori è poi offerta agli ospiti ma si deve bere versata sul palmo della mano di uno dei presenti, per tre volte. Ci sono sei indiani che ci fanno vedere come si svolge la cerimonia. Tutti bevono a turno nella mano di quello che pensiamo sia il cerimoniere e poi la bevanda viene offerta anche a noi. Ovviamente il tutto è stato filtrato con acqua minerale, per non correre rischi. Anna cortesemente declina l’invito io, manco a dirlo, provo. Tranquilli, non mi sono fatto con l’oppio! La bevanda è un poco amara ma niente di più. Prima di ripartire acquistiamo il contenitore dove vengono pestati i semi e poi versato il liquido ottenuto: è un bell’oggettino in legno e lo costruiscono gli abitanti di qui per i turisti che vengono a visitare. Non si sa mai, una volta a casa, avessimo voglia di una bevuta…. Salutiamo e ringraziamo per l’accoglienza e lasciamo anche qui un po’ di regalini, quindi facciamo ritorno all’hotel a riprendere i bagagli: la prossima destinazione è Udaipur a circa 250 chilometri di distanza, ma durante il percorso ci fermeremo a visitare il Tempio gianista di Ranakpur, uno dei più importanti di tutta l’India. La strada è buona, fiancheggiata per un buon tratto da enormi eucalipti.
Giunti al tempio incontriamo la nostra ennesima guida locale, che ci accompagnerà anche il giorno dopo a Udaipur. Nel tempio non si possono portare borse ed oggetti in pelle, bisogna entrare scalzi e con i pantaloni lunghi. Mannaggia, ho i bermuda, troppo “corte” secondo i guardiani. Devo noleggiare un paio di larghissimi pantaloni lunghi da indossare sopra, ottimi visto la temperatura piuttosto alta! Il tempio è veramente bellissimo, tutto costruito in marmo bianco. Ma la cosa più’ bella è certamente il suo interno, dove sono presenti ben 1444 colonne tutte differenti una dall’altra. Un vero capolavoro architettonico.

Terminata la visita proseguiamo per Udaipur, distante da qui ancora 90 chilometri. Il paesaggio è oramai totalmente cambiato, non più desertico e arido come nei giorni passati, ma verde e lussureggiante. Attraversiamo colline ricoperte da una folta vegetazione, ammiriamo paesaggi bellissimi e attraversiamo anche qualche piccolo paesino. Arriviamo a Udaipur nel tardo pomeriggio. Qui alloggiamo all’hotel Radisson Plaza, un bell’albergo situato però un poco fuori città. Udaipur è una bella cittadina, affacciata sul Lake Pichola e circondata da montagne, che le donano un clima più fresco e piacevole. Di buon mattino iniziamo le nostre visite. Cominciamo dal tempio dedicato a Vishnu, il Jagdish Temple. Il tempio è molto bello, tutto finemente lavorato e presenta al suo interno una statua di Vishnu in pietra nera. Anche qui si entra scalzi e troviamo molte persone a pregare.

Ci rechiamo quindi al vicinissimo City Palace. Si tratta di una costruzione imponente che domina il lago. Ha una facciata lunga più di 200 metri e alta circa 30 metri. La guida ci dice che si tratta del palazzo più grande di tutto il Rajasthan. Vi si accede attraverso una porta a triplo arco e al suo interno si trovano molti edifici, con numerose sale, chioschi e balconi. Visitiamo varie sale, molto bella quella con decorazioni in vetro e specchi e quella dove sono esposte molte miniature (dipinti che raffigurano eventi importanti e scene di vita di quei tempi). Nel pomeriggio poi facciamo un giro in barca sul lago. Durante la navigazione possiamo vedere numerose donne, sempre con i loro abiti dai colori sgargianti, occupate a lavare i loro vestiti nelle acque del lago. Molti bambini ci salutano dalla riva con urla, salti e tuffi. Bella la vista del City Palace dal lago. Dopo una ventina di minuti sbarchiamo sull’isola di Jagmandir, dove è situato l’omonimo palazzo. Tempo per la visita una mezz’ora. Ci sono anche dei bei giardini, che però’ non possiamo visitare in quanto chiusi al pubblico, senza apparente motivo. C’è un grande cenotafio in pietra grigia, ma anche questo non è visitabile causa lavori di manutenzione. Troppi ristoranti, locali e un hotel di lusso: a parte una bella vista sul lago con il City Palace sullo sfondo, qui non c’è altro. Tutto sommato il giro in barca è carino ma nulla più e lo “sbarco” su questo isolotto si potrebbe pure evitare.

Ritornati a riva concordiamo con la nostra guida una visita al mercato locale. A noi piace sempre molto visitare i vari mercati e bazar, dove si può assistere allo svolgersi della vita “vera”, autentica, passeggiando senza meta tra le numerose bancarelle e negozietti, in mezzo alla gente. Come in tutti gli altri mercati la confusione regna sovrana, ma, stranamente, le mucche sono proprio poche. Lo notiamo subito, perché in altri mercati erano veramente ovunque. Ai nostri occhi si presenta un’esplosione di colori di tutti i tipi, vuoi per gli abiti delle persone, vuoi per i tanti tipi di frutta, verdura e spezie. Prima di rientrare in hotel ci rechiamo a visitare dei bei giardini, dove sono presenti numerose fontane e statue di elefanti. Anche la visita di Udaipur è terminata. Giunti in hotel e ci riposiamo un po’ in piscina: un bel bagno è proprio quello che ci vuole. L’indomani mattina ci aspetterà un bel po’ di strada (più o meno 270 chilometri) da fare per raggiungere la nostra prossima meta: Pushkar.

Questa piccola città è situata ai margini del deserto ed è famosissima per la fiera dei cammelli che viene organizzata ogni anno nel mese di Novembre (attira migliaia di turisti) e per le centinaia di templi, grandi e piccoli che si trovano nelle sue vie. Pushkar è infatti un importantissimo centro di pellegrinaggio per gli induisti, ma richiama anche molti turisti interessati a cose meno spirituali ma più “fumose”, che qui è molto facile trovare
La strada che percorriamo è ancora in buone condizioni. Il paesaggio cambia nuovamente, la vegetazione si fa più rada. Incontriamo numerosi villaggi e possiamo vedere ancora molte donne che trasportano sul capo le più svariate mercanzie, molti pastori con le loro capre o le loro mucche. Un tratto di strada poi è particolarmente intasato dal traffico, non si contano i camion, carichi all’inverosimile, che incontriamo. Ci fermiamo anche qualche volta per distribuire ai bimbi un po’ di regalini e per scattare qualche bella foto.
Giungiamo a Pushkar verso le 15 e prendiamo immediatamente possesso della nostra camera all’hotel Jagat Palace, buono, immerso in un grande giardino. Come da programma ci incontriamo con la guida locale alle 16 e iniziamo l’esplorazione della piccola città. Cominciamo col visitare il Tempio di Brahma, uno dei pochissimi dedicati a questa divinità. Anche qui ovviamente si entra scalzi ma non si possono portare nemmeno borse e macchine fotografiche. Peccato, il tempio è bello, tutto colorato di azzurro e con una vistosa cupola arancione. Al suo interno ci sono molte persone che stanno pregando. Possiamo fare alcune foto solo dall’esterno, ma da qui non si ha una bella veduta della costruzione. Ci incamminiamo quindi verso il lago. Ma quando arriviamo sulle sue sponde veniamo assaliti da una grande delusione: il lago infatti non c’è, o meglio, c’è solamente il bacino vuoto (solo qualche pozza d’acqua qua e la ma nulla più) con al suo interno diverse ruspe che stanno effettuando opere di pulizia! Purtroppo la quasi totale assenza del monsone ha fatto sì che la pioggia caduta sia stata pochissima, con il conseguente prosciugamento del lago. La guida ci dice che sarà riempito artificialmente per la fiera dei cammelli di novembre.

Facciamo comunque un giro sul lungolago. Tutt’intorno ci sono una cinquantina di ghat utilizzati dalle persone per bagnarsi nelle sacre acque. Diversi fedeli si stanno bagnando nelle piccole pozze rimaste. Molte le mucche che passeggiano tranquille sui ghat. Certo che doveva essere un altro spettacolo la visione di questa cittadina dalle bianche e azzurre costruzioni che si estende tutta attorno al suo lago. Visitiamo ancora alcuni bei templi, ma solo dall’esterno perché in questi i turisti non possono entrare. Poi una passeggiata nella via principale, la via commerciale e del mercato, ma si tratta di una via completamente invasa di negozi per turisti. Troppo commerciale la sacra Pushkar. Quindi attendiamo il tramonto seduti su un ghat, immaginando come doveva essere bello con il lago pieno. Prima di arrivare a Pushkar ci avevano avvertiti che qui avremmo trovato persone molto più insistenti che altrove per cercare di vendere qualunque cosa, finti santoni che offrivano le loro benedizioni, ecc. Di tutto questo, però, non abbiamo avuto riscontro. Soltanto la nostra guida ci ha chiesto se volevamo fare una piccola offerta per la comunità, cosa che fanno un po’ tutti i turisti. Proprio su un ghat c’è infatti una bancarella con un paio di persone adibite a questo compito, immerse tra fogli e timbri, che rilasciano pure una ricevuta di quanto donato. Lasciamo un po’ di rupie. Sinceramente Pushkar ci ha deluso. Sarà per il lago che non c’è, ma di tutta questa sacralità che dicono regni in questo luogo, beh noi non abbiamo trovato traccia. Anche la richiesta di offerta fattaci dalla nostra guida mi appare tanto come un tentativo di “estorcere” denaro ai turisti. Troppi negozi, locali, ristoranti ed i prezzi sono poi più alti che dalle altre parti. Troppo commerciale la “sacra” Pushkar e ci viene da pensare cosa può essere durante il periodo dalla famosa fiera. In una parola: bocciata.

Il mattino successivo di buon’ora partiamo per Jaipur, distante circa 130 chilometri, da percorrere in un paio di ore. La strada è in ottime condizioni, praticamente si tratta di una autostrada (si paga anche il pedaggio). A differenza delle nostre autostrade, però, qui sulla carreggiata si incontrano anche pastori con il loro gregge, mucche, tuc-tuc, cammelli che trainano carretti e per finire anche qualcuno che va contromano. Il nostro buon Amarnad procede sempre con molta prudenza, per cui non abbiamo nessun genere di problema. Arriviamo a Jaipur verso le 12 e l’appuntamento con la nostra nuova guida locale è già stato fissato per le 14, per cui abbiamo il tempo di pranzare con calma e riposarci un po’. Qui alloggiamo all’hotel Golden Tulip (buono).

Jaipur è una grande città ed è chiamata anche la “città rosa” per via del colore di moltissimi suoi edifici. Puntualissimi come sempre, alle 14 partiamo alla scoperta di Jaipur. Ad accompagnarci un signore sulla sessantina, molto preparato. Visitiamo subito l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar, costruito dal Maharaja Jai Singh II che era anche un abilissimo astronomo. Appena lo vediamo ci sembra di avere di fronte delle strane sculture, in realtà si tratta di strumenti che venivano utilizzati per calcolare il tempo, la posizione del sole, delle costellazioni, ecc. Una in particolare ci colpisce in quanto è gigantesca: si tratta di un orologio, perfettamente funzionante. La nostra guida ci spiega il funzionamento delle varie opere e ci fa vedere come viene calcolata l’ora da un orologio: è precisissimo! Incredibile, in considerazione del periodo in cui questi strumenti sono stati costruiti (siamo negli anni del 1700).

Dopo questa visita ci dirigiamo al City Palace. Si tratta di una grande palazzo, tutto di colore rosa, in parte dedicato alle visite dei turisti ed in parte ancora residenza dell’attuale Maharaja, un grande complesso di cortili, giardini ed edifici. Anche qui possiamo visitare diverse sale. Molto interessante quella dove sono esposti i vestiti dei Maharaja, da quelli nuziali a quelli utilizzati per il gioco del polo. Impossibile non notare l’enorme vestito che apparteneva ad un Maharaja alto circa due metri e dal peso di 200 kg.! Molto bella la sala delle udienze pubbliche, tutta finemente decorata e con le sedie di colore rosso. Notevoli le porte del cortile Niwas Chowk che rappresentano le 4 stagioni e stupendi i bassorilievi della cosiddetta Porta dei Pavoni. Visitiamo poi la Sala delle Udienze Private, con in bella mostra 2 enormi recipienti per l’acqua, tutti in argento e dal peso di 350 kg ciascuno. Prima di ritornare all’hotel facciamo una passeggiata al mercato locale e un po’ di shopping, quindi una breve sosta per ammirare il famoso Palazzo dei Venti. Lo vedremo infatti con più calma il giorno seguente.

La giornata comincia presto, alle 8 siamo già in strada per la prima visita odierna, quella all’ Hawa Mahal, il Palazzo dei Venti. Ieri sera lo avevamo visto velocemente, ma oggi, con la luce solare alle nostre spalle e quindi ad illuminarlo, ci appare in tutto il suo splendore. Non si tratta di un vero e proprio palazzo, ma piuttosto di una grande costruzione ad alveare, di colore rosa. Le numerose finestre sono tutte protette da grate, attraverso le quali le nobildonne potevano osservare gli avvenimenti nella strada sottostante senza essere viste. La nostra guida ci dice che è molto più bello osservarlo da fuori che visitarlo all’interno, ma noi chiediamo comunque di poter entrare. In effetti l’interno non è particolarmente interessante ma dalla sua sommità si può godere di un bel panorama, in particolare dell’Osservatorio Astronomico e del City Palace.

Dopo questa visita ci dirigiamo all’Amber Fort che si trova 10 km fuori dalla città. Il Forte ci appare maestoso, adagiato sopra una collina. La salita al Forte la facciamo, come previsto, a dorso di elefante, in una ventina di minuti, come praticamente tutti gli altri numerosi turisti che qui incontriamo. Una volta all’interno, nella grande piazza, si è accolti con musicale ad alto volume, come si trattasse di un ingresso trionfale, che ci fa ricordare i tempi gloriosi dei Maharaja. Visitiamo subito un Tempio interamente costruito in marmo bianco. La struttura è tutta scolpita e molto bella ed al suo interno c’è un grande tamburo tutto in argento. Peccato che non si possa fare foto, anzi la macchina fotografica va lasciata fuori ad un guardiano. Dopo aver attraversato un bel giardino, arriviamo alla Sala delle Udienze Private, dove il Maharaja riceveva importanti personaggi. La sala è molto bella ed è adornata di molti specchi di varie dimensioni, che con i raggi solari dovevano creare bellissimi giochi di luce, unitamente a quella fioca delle numerose candele che, ci dice la guida, venivano accese attorno ai tappeti stesi a terra. Visitiamo poi gli appartamenti delle donne che si affacciano su di un ampio cortile nella parte più vecchia del Forte. Il panorama da quassù è davvero magnifico e sulle colline tutt’intorno si possono ancora vedere le antiche mura erette a protezione della città. Visitiamo poi altre sale, tutte molto interessanti. La discesa dal Forte la facciamo con una breve passeggiata, accerchiati, durante tutto il percorso, da numerosi venditori che ci propongono l’acquisto di svariati oggetti, partendo da cifre astronomiche per poi scendere a poche rupie. Le visite di Jaipur e Amber sono terminate.

Ora la nostra prossima meta è Agra (ben 250 km da fare), ma durante il percorso ci fermeremo per visitare la città abbandonata di Fatehpur Sikri. Stiamo lasciando lo Stato del Rajasthan per entrare in quello dell’Uttar Pradesh. Ad una quarantina di chilometri da Agra ci fermiamo per visitare, come previsto, Fatehpur Sikri. Questa città fu abbandonata in quanto costruita in una zona con notevoli problemi di siccità, problemi che ai quei tempi furono sottovalutati, fino a diventare insormontabili causando così la fine della città stessa. Gli edifici sono tutti ben conservati e la pace è assoluta. E’ piacevolissimo passeggiare tranquillamente tra questi palazzi di colore rossastro e immaginare come doveva svolgersi la vita allora. Nelle immediate vicinanze c’è anche la Jama Masjid, una grande moschea ancora funzionante, che decidiamo di visitare. La moschea è imponente, alta quasi 60 metri. All’interno della grande piazza possiamo vedere la tomba di Shaikh Salim interamente costruita in marmo bianco. Nei pressi alcune lastre di pietra indicano la presenza delle tombe dei componenti la famiglia reale. Qui però non c’è la stessa tranquillità: i numerosi venditori sono piuttosto insistenti e non demordono facilmente. Terminata la visita riprendiamo la nostra strada per Agra, che raggiungiamo verso le 18. Alloggiamo all’hotel Clarks Shiraz, buono, anche se molto meglio dall’esterno che all’interno (le sbandierate 5 stelle forse sono un po’ troppe).

Agra è una grande e inquinata città, i venditori sono piuttosto insistenti, ma qui c‘è il monumento simbolo dell’intera India, quello raffigurato ovunque: il Taj Mahal. Si tratta di uno splendido monumento costruito per…amore. Fu voluto dall’imperatore Shan Jahan per ricordare la sua seconda moglie (Mumtaz Mahal) che morì partorendo il loro quattordicesimo figlio, nel 1631. La costruzione di quest’opera iniziò proprio in quell’anno, ma i lavori terminarono circa vent’anni dopo. Furono impiegate più di 20.000 persone e chiamati persino degli artigiani dall’Europa. Nelle sue mura di marmo bianco sono incastonate migliaia di pietre semipreziose, che formano bellissimi disegni ornamentali e che emanano magici luccichii con i raggi del sole. I 4 minareti di circa 40 metri costruiti ai suoi lati sono stati volutamente inclinati verso l’esterno. Questo per preservare la costruzione principale, impedendo in caso di terremoto che i minareti stessi crollassero verso di essa. Poco tempo dopo la fine dei lavori Shah Jahan fu spodestato dal figlio Aurangzeb ed imprigionato per 8 anni nell’Agra Fort, in una cella dalla quale poteva ammirare la sua costruzione, sull’altra sponda del fiume Yamuna. Le sue spoglie furono poi seppellite vicino all’amata Mumtaz. Si dice che Shah Jahan volesse costruire un altro Taj identico ma in marmo nero come tomba per se e che anche questo fu il motivo della sua prigionia: troppo costosa e faraonica l’opera per le finanze dell’Impero.

La visita al Taj solitamente si fa all’alba od al tramonto, quando la luce solare dona, in entrambi i casi, sfumature meravigliose all’imponente costruzione. Con la nostra guida concordiamo di visitarlo all’alba. Alle 6 siamo in strada e raggiungiamo il Taj in pochi minuti. C’è già parecchia gente che fa la fila per entrare e molta è già dentro. Appena entrati ammiriamo i giardini ornamentali, con numerose fontane. Queste non sono in funzione ed è veramente splendida l’immagine del Taj riflessa sull’acqua. Il Taj è stato costruito su di un basamento sopraelevato, con alle spalle il fiume Yamuna: grazie a questa idea, sullo sfondo si puo’ vedere soltanto il cielo e nient’altro. L’alba è davvero un buon momento per visitarlo: infatti la delicata luce gli dona inizialmente un colore rosato e poi dorato. L’interno è certamente molto semplice. Le tombe di Shah Jahan e di sua moglie sono sistemate in una stanza sotterranea, chiusa al pubblico. All’interno del mausoleo si possono ammirare solo le rispettive copie. A pochi metri dal Taj sorge una moschea in arenaria rossa che merita una visita. Passeggiamo per un po’ nei giardini e scattiamo tante fotografie da ogni angolazione. La nostra visita dura poco più di due ore, quindi ritorniamo in hotel per una buona colazione e poi per proseguire con le visite programmate.

Nostra prossima meta è l’Agra Fort. Durante il tragitto in auto per raggiungerlo, notiamo un istituto delle Missionarie della Carità di Madre Teresa. Chiediamo se possiamo fare una visita e siamo accontentati. L’istituto non è molto grande e ci accoglie una suora sorridente. Ci fa vedere i vari reparti all’interno, dove sono ospitati rispettivamente uomini, donne e bambini. Si tratta per la maggior parte di persone con gravi handicap o problemi mentali. Fanno tenerezza i piccoli lettini, simili a delle gabbiette, dei tanti bambini qui ospitati. Prima di uscire lasciamo un’offerta alla gentile suora che ci ringrazia molto e ci dona alcune piccole cartoline di Madre Teresa. E’ stata una visita breve, ma molto toccante ed emozionante. Difficile trattenere la commozione, gli occhi si fanno un po’ lucidi. Quando sei li dentro non puoi non chiederti perché tutto ciò, perché tanta sofferenza, pensi a quante cose superflue abbiamo noi e a questi bimbi che giocano con una lattina vuota, pensi a quanto siamo fortunati noi occidentali che non ci accontentiamo mai di nulla e che vogliamo sempre di più. Questa è l’altra faccia dell’India, che rimarrà nella nostra mente certamente più della bellezza del Taj Mahal da poco visitato.

Giungiamo all’Agra Fort dopo pochi minuti. Appena scesi dall’auto veniamo accerchiati da un nugolo di venditori che ci propongono un vastissimo campionario di oggetti. Ci facciamo largo tra di loro ed entriamo al Forte, per gli eventuali acquisti se ne riparlerà all’uscita. Questo imponente Forte è costruito in arenaria rossa sulle rive del fiume Yamuna. Costruito inizialmente per scopi militari, fu trasformato in seguito da Shah Jahan in palazzo reale, che divenne poi la sua prigione. Le mura del Forte sono alte più di 20 metri. E’ interamente circondato da un alto fossato, un tempo allagato e “abitato” da coccodrilli. L’entrata al Forte avviene attraverso la Porta di Amar Singh, percorrendo un tratto zigzagante, concepito così per creare confusione negli eventuali invasori, togliendo loro punti di riferimento. Visitiamo diverse sale, tra le quali la Sala delle Udienze Pubbliche, il Bazar delle Signore (dove le donne di corte andavano a fare acquisti), la sala delle Udienze Private (riservata ovviamente ad ospiti importanti). Possiamo vedere anche l’edificio in marmo bianco nel quale Shah Jahan fu tenuto prigioniero fino alla sua morte. Da qui si ha una bella veduta del Taj Mahal sull’altra sponda del fiume Yamuna.
Usciti dal Forte diamo un’occhiata alle tante bancarelle che troviamo nel piazzale di fronte e incrementiamo un po’ la voce “acquisti di souvenir”. È stata una bella giornata di visite.

Ma oggi è anche l’ultimo giorno che saremo in compagnia del buon Amarnad. È stato veramente un bravo autista, ma prima di questo una bravissima persona, sempre disponibile, gentile e, cosa molto importante, sempre molto molto prudente nella guida. Con lui si era oramai creato un rapporto bellissimo, ci si capiva subito. Ci dispiace davvero tanto lasciarlo. Andiamo a pranzare insieme e parliamo un po’ dei giorni trascorsi, del bel tour fatto fino ad ora, ma soprattutto gli facciamo presente la sua bravura. Lui è molto contento e pure un po’ commosso, come anche noi del resto. Ci dice che anche lui è stato benissimo in nostra compagnia e che gli spiace molto che le nostre strade si dividano. Ci dice anche che è molto felice per tutto quello che abbiamo lasciato ai bambini nelle varie tappe del viaggio. Dopo pranzo ritorniamo in hotel per un po’ di relax in piscina.

Ma verso le 17 siamo di nuovo in marcia: decidiamo di andare a fare due passi al mercato locale, il Kinari Bazaar. Per raggiungerlo prendiamo un risciò. Questo mercato non è assolutamente turistico, ci sono moltissimi negozi e bancarelle, ma la stragrande maggioranza delle cose non è destinata ai turisti. Ci sono negozi di stoffe, frutta, verdura, semi,ricambi di biciclette, ecc.. Di tutto insomma. Il “driver” del risciò ci accompagna gentilmente nella passeggiata e alla fine ci fermiamo a bere una fresca bibita insieme. Ritorniamo all’hotel che è già buio. La stanchezza adesso si fa un po’ sentire. Una leggera cena, prepariamo i bagagli per l’indomani mattina e andiamo a riposare piuttosto presto. Agra è oramai alle spalle, domani ci aspetta il trasferimento in treno per raggiungere Jhansi, quindi Orchha e Khajuraho: un'altra intensa giornata di emozioni indiane.

Il momento dei saluti è dunque arrivato. Peccato non poter proseguire il nostro tour insieme. Il buon Amarnad ci lascia qui, alla stazione di Agra: come detto, abbiamo avuto la fortuna di avere incontrato un bravissimo autista, ma ancor più una bravissima persona. E così, dopo una settimana trascorsa insieme, ci salutiamo con un caloroso abbraccio ed un po’ di reciproca emozione. Buon viaggio di ritorno a casa caro Amarnad!

Ad accompagnarci all’interno della stazione c’è un rappresentante della nostra agenzia, anch’egli molto gentile e premuroso, tanto da aspettare con noi l’arrivo del treno. Ci consegna anche un foglio con su scritto le stazioni che incontreremo prima della nostra fermata, con i relativi orari di arrivo e partenza. Il treno è sorprendentemente puntuale. Il nostro viaggio dura circa un paio di ore. Sul nostro vagone notiamo la presenza di alcuni militari, che si affacciano alle porte ad ogni fermata del convoglio. Il viaggio fila via tranquillamente, lo scompartimento è pulito, ci offrono anche un pasto e bottiglie di acqua. Meglio di così! All’arrivo a Jhansi (siamo ora nello Stato del Madhya Pradesh) troviamo ad attenderci un altro rappresentante della Sita ed il nuovo driver. Caricati i bagagli e commentato un poco come si è svolto il nostro tour fino ad ora con il rappresentante, partiamo immediatamente: ci aspettano circa 170 km, ma durante il percorso ci fermeremo ad Orchha per effettuare alcune visite. Orchha è un piccolo paese, molto tranquillo. E’ davvero piacevole passeggiare per le sue stradine, osservando gli abitanti intenti nelle loro attività quotidiane. Ci sono alcune bancarelle di souvenir, alcuni piccoli negozietti e localini, ma nessuno ti chiama per offrirti qualche cosa, non ci sono venditori asfissianti come ad Agra. Molto belle le bancarelle dei venditori di colori in polvere. Esposti su tanti piattini, uno accanto all’altro, formano un arcobaleno di colori davvero molto suggestivo. Con la guida locale visitiamo alcuni templi ,palazzi e i cenotafi. Sono tutte costruzioni molto belle ed interessanti. Dopo un breve pranzo, riprendiamo il nostro percorso alla volta di Khajuraho, dove l’indomani visiteremo il grande complesso di templi di Chandela, famosi per le sculture erotiche in essi rappresentate.

Il nostro driver, però, si dimostra subito assai diverso da Amarnad. E’ un gran chiacchierone (a volte è bello osservare il paesaggio in silenzio…), ci vuole coinvolgere in canti indiani e cosa più grave, procede a velocità sostenuta per tutta la durata del viaggio, in una strada in cattive condizioni, con molte buche e lunghi tratti interessati da lavori di manutenzione. Zigzagare tra buche, auto e le immancabili mucche pare sia la sua specialità o il suo divertimento: va forte anche attraversando i diversi villaggi incontrati ed il nostro pensiero (oltre che a noi…) va ai tantissimi bimbi presenti , che potrebbero essere accidentalmente investiti. Chiediamo a Shumi, così lo abbiamo soprannominato, se possiamo fermarci in un villaggio per distribuire un pò di regalini ai bimbi. Quando ci fermiamo i tanti bambini scappano in ogni direzione, ma poi, rassicurati da Shumi ci raggiungono e ci circondano sorridenti e festosi. Arrivano anche le loro mamme. Le paure iniziali sono scomparse, forse non molti turisti si fermano qui e loro non sono abituati a vedere stranieri. Lasciamo un bel po’ di saponette e facciamo insieme alcune foto ricordo. Sono contenti e quando ripartiamo ci salutano calorosamente. La strada per Khajuraho pare non finire mai, tanto che quando l’auto si ferma davanti all’ingresso del Radisson Jass, dove alloggeremo, non ci sembra vero. Caro Shumi, piacere di averti conosciuto, ma, sinceramente, ne avremmo fatto a meno. Anche se ci sei parso sicuro al volante, un poco di tranquillità in più non guasterebbe proprio.

Khajuraho è una cittadina di circa 20.000 abitanti. I numerosi templi sono suddivisi in due zone, quelli della zona occidentale e quelli della zona orientale e furono costruiti dalla dinastia dei Candela. Con la guida locale visitiamo inizialmente il gruppo occidentale. Si tratta senza dubbio della parte più interessante: i templi sono molti e ben conservati, tutti molto lavorati esternamente con sculture che rappresentano scene di vita, animali, scene di guerra, divinità e scene erotiche: tutti questi momenti sono decisamente ben raffigurati nei particolari. Si tratta di veri e propri capolavori e viene da chiedersi come abbiamo potuto creare tali opere d’arte a quei tempi. Molte di queste figure sono donne e sono rappresentate con una grande maestria, come ad esempio quelle intente a vestirsi o a spogliarsi: sembra quasi che i vestiti stiano per essere realmente indossati o tolti, con movimenti sensuali, lasciando intravvedere il corpo sottostante. Anche le scene erotiche, piuttosto numerose, sono ben documentate nei particolari, ma questo non deve indurre ad una considerazione volgare, bensì deve far pensare alla grande bravura degli scultori, che davvero non hanno tralasciato nulla.

Ci rechiamo quindi a visitare la zona orientale. È una zona più circoscritta della precedente e ci sono ovviamente meno templi. Qui però sono differenti: non ci sono infatti sculture erotiche. La nostra guida ci dice che queste sculture in realtà un tempo erano presenti, ma che poi sono state rimosse e sostituite da piccole finestre (ed effettivamente qua e là compaiono diverse finestrelle sulla struttura dei templi) dai Giainisti quando questi divennero i proprietari dei templi, in quanto per loro non devono essere rappresentate scene di sesso. I templi qui sono decisamente più semplici ma comunque sempre interessanti.

Terminate le visite ai templi facciamo quattro passi per le viuzze di Khajuraho. E’ molto tranquillo, nelle strette viuzze giocano numerosi bimbi e circolano le immancabili mucche. Troviamo anche una piccola scuola, con una decina di bambini che stanno scrivendo seduti a terra: altro che banchi ultramoderni o attrezzature firmate! Le visite a Khajuraho sono terminate: dopo pranzo ci attende l’aereo per Varanasi, l’antica Benares, la città sacra per eccellenza per la popolazione indù, il cui nome deriva dai due fiumi che qui si incontrano, Il Varuna e l’Asi.
Il volo per Varanasi dura circa mezz’ora (siamo nuovamente nello Stato dell’Uttar Pradesh) e all’aeroporto ad attenderci ci sono, puntualissimi, l’autista e un rappresentante della nostra agenzia. Ora, dopo tanti palazzi, forti e templi, ci aspetta un’immersione nella spiritualità, in quella Varanasi dove vita e morte si intrecciano ogni giorno. A Varanasi non si viene infatti per visitare palazzi o forti, ma per la gente, per vedere lo svolgersi della vita spirituale, per vedere il rapporto quotidiano con la vita e la morte e per “sentire” l’immenso amore che queste persone hanno con il grande fiume che qui scorre, il Gange. I fedeli raggiungono le acque del fiume tramite i numerosi ghat (sono circa 80), una lunghissima fila di scalinate sulla sponda ovest del Gange. La quasi totalità di questi ghat viene utilizzata per i bagni purificatori ma ve ne sono alcuni che vengono utilizzati per le cremazioni dei cadaveri (il più importante di questi è il Manikarnika Ghat).

Abbiamo tempo per riposarci un po’ in quanto la prima visita è prevista per le ore 18, quando ci recheremo sul Gange per assistere alla cerimonia chiamata Ganga Aarti: si tratta di una cerimonia di ringraziamento e saluto al grande fiume che viene effettuata ogni sera su alcuni ghat. Praticamente l’equivalente di una nostra “Messa”, anche se molto più coreografica. Alle 18 ci incontriamo nella hall dell’hotel con la nostra guida locale, una specie di Bud Spencer indiano, immediatamente soprannominato il “bradipo” per le sue movenze e per la sua flemma, con una parlata un po’ “robotizzata”. La macchina può arrivare fino ad un certo punto, poi si deve proseguire a piedi. C’è un traffico pazzesco, mai vista una cosa simile. La gente è tantissima, un fiume umano che si dirige verso i ghat dove si terranno le cerimonie. Arriviamo piano piano al ghat dove assisteremo alla cerimonia: è il più grande, ci sono tantissime persone sedute ovunque, anche sulle numerose barche ancorate di fronte alla riva. Sono tutti indù ma qua e la notiamo qualche isolato turista. Fa un caldo pazzesco ed è pure molto umido. Fortunatamente riusciamo a accaparrarci un buon posto, dal quale la vista è perfetta. La cerimonia, che ha inizio verso le 19 ed è eseguita da 7 giovani sacerdoti, dura circa 1 ora e mezza. Avviene in diverse fasi e modalità, con lumini, piume di pavone, candelabri, fumi, canti accompagnati da musiche. E’ una cerimonia toccante, si percepisce l’amore che questa gente ha per il suo fiume. Molti fedeli lasciano andare nelle scure acque del Gange piccoli lumini votivi: lo facciamo anche noi e un po’ di emozione ci coglie vedendo il nostro lumino allontanarsi nel buio, trascinato dalla corrente. Il livello del fiume è ancora piuttosto alto in quanto la stagione monsonica è appena terminata, per cui buona parte delle scalinate dei ghat sono ancora sott’acqua. La nostra guida ci dice che nei mesi seguenti le persone che assisteranno alla cerimonia saranno molte molte di più: e dire che a noi parevano già tantissime quelle di stasera! Il ritorno all’hotel avviene ancora più lentamente: la folla è impressionante e se aggiungiamo pure risciò, tuc-tuc e mucche sparse un po’ ovunque il quadro è servito. Raggiungiamo quindi la nostra auto e sempre piuttosto lentamente ci dirigiamo verso l’hotel. È stata una serata davvero molto bella e suggestiva, un’immersione totale nella spiritualità’. Certo per noi occidentali è difficile, praticamente impossibile, capire l’amore incondizionato che questa gente nutre verso il suo fiume, venerandolo e coccolandolo quasi fosse una persona cara. Però è stato molto bello stare qui, in mezzo a loro, ed entrare un poco, in punta di piedi e per quanto possibile, nel loro mondo e nella loro vita, assistendo a questa particolare cerimonia.

Il mattino seguente la sveglia suona impietosa alle 5, perché ci attende il giro in barca sul Gange, per poter vedere da vicino la moltitudine di persone che all’alba si bagnano nelle acque del fiume. Giungiamo sul ghat dal quale ci imbarchiamo che è ancora un po’ buio, ma sono già moltissimi gli uomini, le donne, i bambini, gli anziani che si stanno preparando per il bagno purificatore, nelle torbide acque del sacro fiume. Ci sono molte barche di turisti che stanno partendo. Il Gange è gonfio di acqua e la corrente è forte: i nostri due barcaioli faticano moltissimo a condurre l’imbarcazione controcorrente. Sarà anche un fiume sacro, ma sulla sua superficie galleggiano ogni genere di cose, immondizia, legna, ecc. e il colore delle sue acque non invoglia certo a fare il bagno. La barca avanza lentamente lungo la sponda, passiamo accanto a numerosi ghat e possiamo vedere centinaia di persone che si stanno bagnando. E’ incredibile vedere tutta quella gente in acqua. Nel frattempo abbiamo potuto ammirare anche una bellissima alba, che con i suoi delicati colori ha contribuito a rendere ancora più magica questa atmosfera. Giungiamo poi al ghat dove vengono effettuate le cremazioni dei cadaveri, il Manikarnika Ghat. Non si possono fare foto. Ci sono molte pire accese e si notano chiaramente i corpi che stanno ancora bruciando, mentre altri, deposti su portantine di bambù e completamente fasciati con tessuti colorati, stanno aspettando il loro turno poco oltre. Varanasi, la vita e la morte: il Gange, che qualche decina di metri prima accoglie i fedeli nel loro bagno purificatore, qui riceve le ceneri di chi non c’è più. Poco più in là si omaggia un nuovo giorno, la continuazione della vita, immersi nelle scure acque a pochi metri dai ghat, qui si dà l’ultimo saluto ad una persona cara. Varanasi, l’inizio e la fine.

Terminato il bellissimo giro sul fiume ci rechiamo a visitare il Vishwanath Temple, detto anche Golden Temple, il Tempio Dorato. Il tempio è senza dubbio il più famoso qui a Varanasi ed il suo nome non è casuale: la cupola è infatti ricoperta da ben 800 kg di oro. Per raggiungerlo si passa in strette viuzze, stretti tra centinaia di persone. Prima di entrare nell’area del tempio (dentro di esso non si può andare) si passano anche controlli piuttosto meticolosi e metal detector e non si possono portare borse, cellulari, macchine fotografiche,ecc. Bisogna lasciare tutto in un negozio “convenzionato” nei pressi. Io ho faticato per poter portare in tasca il portafoglio con i soldi! Ci sono moltissimi militari, questo perché i rapporti con gli islamici, che hanno una moschea praticamente attaccata al tempio, sono piuttosto tesi e consigliano attenzione. Pare che gli indù desiderino abbattere la moschea e gli islamici il tempio, per cui la tensione è alle stelle. Il tempio lo si può intravvedere dalla strada ma solo la grande cupola d’oro si vede bene ed è veramente notevole. Scambiamo due parole con alcuni giovani soldati, armati fino ai denti, che gentilmente ci consentono di affacciarci brevemente oltre l’ingresso all’area del tempio per dare una rapida occhiata, pochi secondi, nulla di più. Peccato non poter fare fotografie: la cupola d’oro la ricorderemo soltanto nella nostra mente.

Terminata questa visita ci dirigiamo a Sarnath, un importante centro buddista a circa 10 km da Varanasi. Sembra di essere in un altro mondo, lontani anni luce dal caos di Varanasi. La nostra guida ci dice che questo luogo è molto famoso tra i buddisti di tutto il mondo e che qui il Buddha venne a predicare il suo messaggio dopo aver raggiunto l’illuminazione. Visitiamo il Tempio Mulgandha Kuti, dove ogni giorno verso sera viene riproposto il sermone del Buddha e nel quale c’è un grande baniano che si dice sia cresciuto da un seme piantato qui e proveniente dalla città di Anuradhapura in Sri Lanka. Con una breve passeggiata raggiungiamo poi il gigantesco Dhanekh Stupa, una massiccia costruzione alta circa 34 metri. Nei pressi ci sono anche le rovine della città antica. Passeggiamo un po’ in questa oasi di tranquillità, quindi facciamo ritorno all’hotel per il pranzo e un po’ di riposo, in fondo siamo in piedi dalle 5.

Concordiamo con l‘agenzia un giro nel pomeriggio per visitare la città vecchia, per vedere un po’ le viuzze lungo il Gange e per passeggiare, per quanto possibile, sui ghat. L’agenzia ci informa che avremmo avuto un’altra guida. Meglio così, il “bradipo” non è che ci abbia soddisfatto molto, dimostrandosi un po’ svogliato. Alle 15.30 eccoci puntuali e riposati nella hall dell’hotel, dove troviamo ad attenderci la nuova guida, di nome Gupta. Bastano pochi minuti per capire che abbiamo di fronte una persona totalmente differente. Si vede che ha voglia di farci vedere tutto quello che desideriamo, è più partecipe e coinvolgente e ci propone anche alcune cose da vedere. Subito ci porta a vedere il Bharat Mata Temple, costruito nel 1918 e famoso perché all’interno è esposta una grande riproduzione, in perfetta scala, del sub-continente indiano, tutta costruita in marmo bianco. Gupta ci dice che 1 centimetro di quest’opera corrisponde a 10 km e per quanto riguarda le montagne ogni centimetro equivale a 660 km.Tutta quest’opera è stata fatta davvero benissimo, con dovizia di particolari: ad esempio, si può vedere chiaramente tutta la catena himalayana (il buon Gupta ci fa notare l’Everest), quella che era la Via della Seta, le isole Andamane, ecc.. Davvero interessante. Dopodichè full-immersion nella città vecchia. Fa caldissimo, ma è comunque bello passeggiare nelle strette vie, dove ogni angolo nasconde un piccolo tempio e dove pullulano negozietti di artigiani. C’è chi vende frutta o verdura o souvenir su bancarelle improvvisate, c’è chi chiede l’elemosina e c’è chi semplicemente dorme all’ombra di qualche riparo più o meno improvvisato. E poi ci sono loro, le onnipresenti mucche. E anche i tori: uno, enorme, è pigramente sdraiato all’interno di un negozio, mentre alcune persone stanno facendo tranquillamente i propri acquisti. Le condizioni igieniche in queste viuzze sono davvero pietose, molte le fogne a cielo aperto. E passeggiando raggiungiamo i ghat sul Gange. Possiamo camminare per un certo tratto su di essi e ancora ci sono molte persone che si bagnano, altre che pregano. Nel ghat dove abbiamo assistito la sera precedente alla cerimonia del Ganga Aarti ora fervono i preparativi per la cerimonia odierna. Incontriamo molte persone che portano statue di divinità, in processione, cantando e pregando. Queste statue saranno lanciate nel fiume in segno beneaugurante. Riusciamo anche ad assistere al lancio di una di esse. Prima di rientrare in hotel ci fermiamo a bere una bibita con la nostra guida, che si è dimostrata davvero molto disponibile e gentile. Arriviamo in hotel che è già buio, sudatissimi come al solito e un po’ stanchi, ma felici per il bel pomeriggio trascorso.

Ma prima di raggiungere la nostra camera, ci viene un’idea: poiché il giro in barca ci è piaciuto davvero molto, perché non farne un altro l’indomani mattina per conto nostro? La mattinata infatti, come da programma, è libera. Dormire? Non sia mai, meglio vivere ancora Varanasi. L’importante è essere puntuali per il trasferimento in aeroporto per il volo con destinazione Delhi. Ma abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Non ci pensiamo due volte: davanti all’hotel ci sono diversi autisti di tuc-tuc e così concordiamo con uno di essi un passaggio per l’indomani mattina, destinazione ghat, per le ore 5.

Il nostro conducente è puntualissimo fuori dall’hotel ad aspettarci. Prendiamo la barca in un altro ghat rispetto al giorno precedente e ci accordiamo con il barcaiolo per un giro di un paio di ore. Ancora una volta sono centinaia le persone che si stanno bagnando nelle sacre acque del Gange. E come ieri una splendida alba ci dà il buongiorno. Il giro è un poco più lungo di quello fatto ieri, anche se, ovviamente il percorso è sempre lo stesso. Si, il percorso è sempre lo stesso, ma le emozioni che si provano sono diverse, si scopre sempre qualche nuova scena, qualche nuovo episodio di vita, qualche nuovo attimo da ricordare per sempre. Arriviamo al ghat delle cremazioni mentre alcune persone stanno preparando una pira e poco dopo possiamo assistere alla posa del cadavere su di essa e all’inizio della cremazione. Noi siamo sulla barchetta ferma li davanti e assistiamo per un po’, in religioso silenzio, allo svolgersi della cerimonia.

Non si possono fare fotografie, ma, anche potendo, non ne avremmo fatte per rispetto di questa gente. Questi momenti così delicati e particolari li ricorderemo per sempre nella nostra mente. Il nostro barcaiolo ci fa anche un poco da guida e (come spiegatoci anche ieri mattina dal “bradipo”) dice che le ceneri vengono poi versate direttamente nel fiume e che un tempo soltanto i corpi dei bambini piccoli non venivano bruciati, ma fasciati e chiusi in un sacco con legata ad una estremità una grossa pietra e quindi lasciati affondare direttamente al centro del fiume. Ci dice anche che ora però questa pratica non è più consentita dalle autorità. Sarà vero? Mah, il dubbio ci assale. Del resto qui “everithing is possible”, per cui non ci sarebbe da stupirsi se qualche famiglia ancora legata alle antiche tradizioni esercitasse tutt’ora questa pratica. Certo, ai nostri occhi si tratta un’usanza barbara ed inconcepibile, ma che testimonia l’amore smisurato, quasi folle, che questa gente ha per il suo fiume, dove tutto inizia e tutto finisce, tanto da donargli addirittura le spoglie di un figlio.

Comunque, nemmeno a farlo apposta, il nostro barcaiolo interrompe di colpo le sue spiegazioni e ci grida “boy, boy!”. A pochi metri dalla barca, vicino alle mura di un edificio, galleggia un piccolo corpo, spinto verso il centro del fiume da una persona con un lungo bastone. Passiamo molto vicino ad esso e, quello che a prima vista poteva sembrare un bambolotto, ci appare, purtroppo, in tutta la sua orrenda realtà: è davvero il corpo di un bambino che avrà avuto si e no 2 anni!!! Certo non possiamo sapere perché è lì, se a causa della “sepoltura” ora illegale o per chissà quale altro motivo. Ciò che conta è che quello è proprio il corpo di un bimbo. È sconvolgente, un’immagine che rimarrà per sempre stampata nella nostra mente più di ogni altra cosa vista in questo viaggio. Terminato il giro, facciamo ritorno all’hotel per una buona colazione. Ma abbiamo ancora una visita da fare.

Al rappresentante della nostra agenzia abbiamo chiesto se possiamo andare con il nostro autista a visitare il Ramnagar Fort che si trova sull’altra sponda del Gange, a circa 14 km di distanza. Molto gentilmente ci concedono l’utilizzo dell’auto gratuitamente. Unica raccomandazione: essere puntuali per il trasferimento in aeroporto. Dobbiamo essere in hotel al massimo per mezzogiorno. Non possiamo quindi dilungarci troppo nella visita, ma va bene così, in fondo abbiamo sempre visto una cosa in più, inoltre neanche compresa nel programma. Per raggiungere il Forte impieghiamo quasi un’ora a causa del traffico veramente notevole, con numerosi ingorghi che ci rallentano parecchio. Il Forte è certamente molto più semplice, ma non potrebbe essere altrimenti, di quelli ammirati nel Rajasthan. È comunque carino e piacevole da vedere. All’interno c’è un piccolo museo con armi antiche, auto d’epoca (non si possono fotografare, chissà perché), vestiti, ma a colpirci di più sono i due particolari tappeti che possiamo ammirare: infatti sono stati prodotti l’uno in avorio e l’altro addirittura in avorio con inserzioni d’oro. Manco a dirlo, vietato fare foto. La nostra visita qui dura una quarantina di minuti, poi dobbiamo riprendere la strada del ritorno. Ancora traffico, ancora code, ancora ingorghi: ma arriviamo in all’hotel tranquillamente in tempo. Puntuali partiamo con destinazione aeroporto. Qui giunti ci congediamo dal nostro bravo autista e ringraziamo l’immancabile rappresentante della Sita che ci ha accompagnato. Buon servizio questa Sita, c’è sempre qualcuno di loro ad assisterti. L’aereo per Delhi è in perfetto orario. Per l’ultima nostra notte indiana facciamo ritorno al conosciuto Ramada Plaza. Per oggi basta visite: l’indomani completeremo la visita della capitale e quindi saluteremo l’India.

Come da programma alle 9 ci incontriamo con la nostra guida, un giovane di nome Sanjay. La mattinata però inizia non troppo bene e con una bella arrabbiatura. Quei gentiluomini dell’hotel vorrebbero farci lasciare la camera entro le 12. Sabbiamo bene che solitamente gli alberghi si comportano così, ma per noi questo rappresenta un problema, in quanto il nostro volo per Parigi partirà a mezzanotte e quaranta e questo vuol dire stare tutto il giorno in giro, senza poterci nemmeno riposare un poco e fare una doccia, assolutamente necessaria con il caldo che fa! Chiediamo se è possibile (considerando anche che gli ospiti sono pochi e quindi non ci sono problemi di disponibilità) di avere la camera fino alla sera, prima della partenza per l’aeroporto. Ma la risposta che ci danno è allucinante: con l’albergo mezzo vuoto hanno il coraggio di chiederci la bellezza di 60 euro per poter usufruire della camera fino alle ore 16, non oltre! Pazzesco, un vero furto! Tramite la nostra guida contattiamo l’agenzia, esponiamo il problema e chiediamo loro di trovarci una camera in un hotel vicino all’aeroporto. Dopo pochi minuti ci richiamano: la camera c’è e costa 30 euro. Accettiamo senza indugio. Decidiamo quindi, per non perdere tempo senza andare avanti e indietro, di lasciare la camera subito, portando con noi tutti i bagagli (tanto saranno al sicuro in auto). Carichiamo velocemente le nostre cose in macchina e dopo aver “calorosamente ringraziato per la grande disponibilità” i responsabili dell’hotel, partiamo per completare la visita della grande Delhi.

Per prima cosa ci rechiamo alla Moschea Jama Masjid. È la moschea più grande di tutta l’India, è costruita in marmo bianco e arenaria rossa e presenta due imponenti minareti alti ben 40 metri. Per entrare dobbiamo indossare gli abiti lunghi che ci consegnano all’ingresso e, ovviamente,togliere le scarpe. Dopo ci rechiamo a visitare il Forte Rosso. Poichè di Forti ne abbiamo visti parecchi (e senz’altro più belli) seguendo il consiglio di Sanjay decidiamo di vederlo solo dall’esterno, passeggiando un po’ attorno alle sue mura, che si estendono per circa 2 km e sono alte dai 18 ai 30 metri. Tutt’attorno c’è anche un ampio fossato, ora prosciugato.
Proseguiamo le visite con il Raj Ghat, una piattaforma quadrata di marmo nero che indica il luogo dove fu cremato il corpo di Ghandi, dopo essere stato ucciso nel 1948. Il Raj Ghat sorge in un bellissimo parco, nel quale passeggiamo tranquillamente, incrociando gruppi di turisti indiani e alcune scolaresche. Dopo un leggero pranzo ci rechiamo a visitare il Qutb Minar: si tratta di una torre altissima, più di 70 metri, con la caratteristica che la sua larghezza decresce man mano che si sale, passando dai 15 metri della base per arrivare ai 2,5 della cima. La torre è formata da cinque piani: i primi tre sono in arenaria rossa, gli altri due in arenaria e marmo. Poi raggiungiamo un bellissimo tempio sikh, il Gurdwara Bangla Sahib. Il tempio è imponente, tutto bianco con delle meravigliose cupole dorate. Entriamo al suo interno, ma prima dobbiamo coprirci la testa con un foulard e toglierci le scarpe. Dentro ci sono moltissime persone che stanno pregando. Nell’area del tempio c’è anche un’enorme vasca piena di acqua, che si ritiene abbia qualità curative, e decine di persone in processione tutt’attorno ad essa. Nei pressi poi una grande sala dove viene servito gratuitamente il pasto ai poveri. In effetti ci sono molte persone, tutte sedute in fila, che attendono pazientemente di ricevere la loro razione di cibo.

Dopo tante visite culturali è venuto il momento di aggiornare la voce “acquisti”. Ci rechiamo al mercato Dilly Haat, un mercato piuttosto grande ma molto tranquillo, senza venditori assillanti e nel quale si deve pagare l’irrisoria cifra di 15 rupie per entrare. Ci sono praticamente prodotti provenienti da ogni parte dell’India: giriamo per un po’ tra le varie “casette” che ospitano i venditori con la loro merce, con tutta calma: osserviamo, contrattiamo e…compriamo. Missione compiuta. Ma ci aspetta ancora un’ultima visita: quella al Gandhi Smriti, il monumento eretto sul punto esatto dove Gandhi fu assassinato nel 1948. In questo commovente luogo di riflessione sono stati evidenziati gli ultimi suoi passi, che percorrono tutto un tragitto, praticamente dall’ingresso fino al punto in cui morì, dove sorge un piccolo padiglione. Poco più in la un grande gong, con rappresentate le bandierine di tutti gli stati del mondo e con una scritta che ci auguriamo possa un giorno trasformarsi in realtà: World Peace Gong, il gong della pace nel mondo. C’è anche un museo, ma non lo possiamo visitare perché ha già chiuso. Il nostro tour termina qui: ci sembra giusto, è come se rendessimo omaggio, prima di partire, ad un grandissimo uomo, un vero e proprio simbolo della pace, non soltanto dell’India ma del mondo intero.

Raggiungiamo quindi l’hotel dove abbiamo prenotato la camera. Ci possiamo riposare un po’, fare una doccia ristoratrice e sistemare per bene i bagagli. Alle 22,30 ci dirigiamo verso l’aeroporto, che raggiungiamo in circa quindici minuti. Ad accompagnarci anche stavolta un rappresentante della nostra agenzia, molto gentile e che ci assiste in tutte le formalità, fino all’ingresso all’area partenze, dove ci si saluta calorosamente.

Ora la nostra vacanza è davvero finita. Torniamo a casa felici di aver visitato questo Paese. Sono stati giorni bellissimi ed intensi e tra auto, treno e voli interni abbiamo percorso più di 3.000 km. Abbiamo trovato sempre bel tempo (ha piovuto soltanto quando siamo arrivati a Delhi, di notte), sempre caldissimo e un po’ più umido a Varanasi. Alla fine siamo un po’ stanchi ma possiamo dire che ne valeva certamente la pena. I momenti più belli che ricorderemo per sempre sono stati quelli trascorsi con i bambini dei villaggi nei quali ci siamo fermati per lasciare un po’ di regalini, magliette, penne, saponette, ecc. La loro felicità era ed è anche la nostra. Ci ha colpito molto poi la grande spiritualità di questa gente, una spiritualità estrema, che porta a comportamenti per noi occidentali inimmaginabili e, in un certo senso, incomprensibili. Noi non potremo mai capire, ad esempio, come sia possibile adorare un topo. Ma capire l’India non è facile, non può certo esserlo in 18 giorni. Troppo diverso questo mondo dal nostro, troppo diversi usi, costumi e tradizioni della gente. È un mondo ricco di contrasti, un mondo ricco di colori, un mondo comunque da vedere e rispettare. Da una parte trovi gli immancabili hotel di lusso, dall’altra persone che come tetto hanno l’arcata di un ponte; da una parte vedi tante donne occupate in duri lavori nei campi, a pascolare pecore e mucche, ma queste stesse donne indossano sempre i loro bellissimi abiti dai colori sgargianti, quasi stessero andando ad una festa; da una parte , in qualunque città grande o piccola che sia, ti trovi immerso in giganteschi ingorghi, con le persone che sbucano da ogni dove tra moto, camion, auto, tuc-tuc e mucche , ma dall’altra mai abbiamo visto un solo incidente; e poi i coloratissimi mercati, dove quando passeggi non sai da che parte guardare perché la gente sbuca disordinatamente da ogni angolo e sembra quasi travolgerti, ma dove i venditori espongono con un ordine impeccabile e maniacale i loro prodotti sulle bancarelle.

E allora, mentre osservi tutto ciò, mentre cerchi di capire e magari ti chiedi perché, mentre ti stupisci, ti tornano alla mente le parole del buon Amarnad “Here everything is possible!”.

Sì, qui tutto è possibile. Avevi proprio ragione caro Amarnad.

Bye Bye India!

 

 
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